Adolescenti senza rete

  • 23-10-2018
  • Amministratore

“Bisogna chiedere a se stessi se tutto ciò che si fa in questa vita avrebbe le stesse caratteristiche di bellezza e significanza senza la consapevolezza che si tende a una linea finale, a un confine, a un limite”.

[Don De Lillo, Rumore Bianco, Einaudi]

Igor e Andrea. Due nomi, due adolescenti, un’unica fine.

Igor che muore asfissiato emulando un gioco su internet, Andrea che muore precipitando dal tetto di un centro commerciale mentre si fa un selfie. Due notizie terribili a distanza di pochissimo tempo l’una dall’altra. La ricerca del limite, la sfida. Perché? Ci si interroga. A che scopo?

Gli adolescenti non temono la morte, la propria, si sentono immortali. Se pensiamo a ognuno di noi, se proviamo a ricordarci di quando facevamo parte della schiera dei “teen” la morte su di noi non aveva effetto, la paura semmai l’avevamo della morte di qualcuno di caro attorno a noi, ma della nostra no e anche noi, seppur in modo diverso, abbiamo trasgredito a volte anche sfidando la vita. Ma oggi tutto ci appare ben diverso e le dimensioni di questa diversità sono esagerate. Viviamo nell’epoca della ipermordernità dove tutto appare possibile. La cosa più concreta che abbiamo è il nostro corpo che, però, oggi, non è più una stabile unità, può essere cambiato, modificato, alterato. Non solo con piercing o tatuaggi, ma con interventi ben più profondi di chirurgia estetica per diventare ciò che non si è o non si è più, restare più giovani sfidando il tempo o, ancora, cambiando genere. Il corpo, da concreto e stabile che era, diviene anch’esso modificabile, una astrazione. E più le cose si fanno astratte, più diventano virtuali, lontane da noi, diventano non vere, instabili.

L’ipermodernità ha perso di vista l’uomo. La conoscenza è sempre stata corporea, ha usato il corpo come tramite. Il limite del mio corpo è dove prende posto il tuo. Chi sono ha immediatamente a che fare con chi sei tu e cosa non sono io. Tutto oggi sembra correre insensatamente verso una smaterializzazione di tutto, anche della vita.

C’è tantissima informazione, spesso contraddittoria, ma non c’è conoscenza. E dove si trova un senso in un mondo in cui tutto sembra possibile ma non c’è conoscenza e, in molti, casi, conoscenza profonda? La ipermodernità ci ha spinti sempre più all’esterno, fuori da noi, lontani dalle fragilità e dalle nostre emozioni. Non le contempla. Tutto ciò che si prova viene esternalizzato, viene messo fuori da sé. Tutto ciò che non si prova non si conosce. Se porto fuori da me le mie emozioni perché non le so neppure nominare, non so che sono emozioni, finisco per allontanarmi da me e parcellizzare non solo il mio corpo ma anche me stesso.

L’andare oltre, la non abitudine a fermarsi ad ascoltare, a parlare, ad affrontare ha portato ad avere paura delle cose che sentiamo perché non sappiamo come affrontarle.

L’allontanamento dal qui e ora ha portato a temere il qui e ora, ha portato alla morte della morte nella nostra vita e nella nostra società. Tutti ne hanno paura e nessuno la affronta più. Per paura del limite estremo ci allontaniamo. Ma senza limiti non c’è senso in quello che facciamo.

Dott.ssa Rossella Torretta

Psicologa – Psicoterapeuta

 

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