EFFETTI DEL LINGUAGGIO EMOZIONALE DEL CORPO SUI GIUDIZI RAPIDI SULL’OUT-GROUP.
- 13-01-2015
- Amministratore
La discriminazione ed il conflitto inter-gruppo sono basati sulla classificazione di ognuno in base al suo stato etnico o di out-group (Allport, 1954; Bijlstra, Holland, e Wigboldus, 2010; Dovidio, Kawakami, Johnson, Johnson, e Howard, 1997 , Miller, Maner, e Becker, 2010). Anche se il volto è un potente segnale per tale classificazione (Fazio, Jackson, Dunton, e Williams, 1995; Hugenberg & Bodenhausen, 2003, 2004) ci sono buone ragioni teoriche per credere che più segnali espressi, come le espressioni emozionali del linguaggio del corpo (de Gelder, 2006), possano svolgere un ruolo significativo nel modo in cui le persone categorizzano il mondo in out-groups e in-groups. Anche se i volti e i corpi sono quasi sempre studiati insieme, il linguaggio del corpo deve ancora essere esplorato in relazione all’elaborazione del viso negli in-groups e negli out-groups.
De Gelder (2006) propone un modello a due sistemi per spiegare come le persone interpretano il linguaggio del corpo: in primo luogo vi è un sistema automatico e riflessivo mediato da un percorso sub-corticale che rende veloci i giudizi sulle emozioni trasmesse attraverso il corpo di un’altra persona; e in secondo luogo vi è un sistema più strategico e consapevole mediato da un percorso corticale che integra le informazioni del linguaggio del corpo con le informazioni trasmesse attraverso il viso per sviluppare una percezione più sfumata.
Meeren, van Heijnsbergen e de Gelder (2005) hanno dimostrato che il linguaggio del corpo modula la percezione precoce dei volti emozionali: quando il linguaggio del corpo è stato unito ad un viso emotivamente incongruente (ad esempio un corpo arrabbiato e un volto spaventato) la capacità di identificare l’espressione del viso è stata ridotta.
Al primo esperimento di questo studio hanno partecipato volontariamente quarantadue studenti universitari bianchi (14 maschi) di età compresa tra 18 e 22 anni, con una vista normale, che sono stati reclutati da un gruppo di studenti di psicologia introduttiva e hanno ricevuto un credito formativo.
Gli stimoli del corpo erano ricavati da un insieme di dati validati del linguaggio del corpo raffiguranti posture di uomini sia felici (2) che arrabbiati (2) (Meeren et al., 2005; Schindler, Van Gool, e de Gelder, 2008). Gli stimoli del viso erano ricavati da un database generato al computer (Pauker et al., 2009) che raffigurava sia un prototipo di viso maschile Nero che uno Bianco (4 Neri, 4 Bianchi) con espressione neutra e erano generati con FaceGen Modeller 3.1. I prototipi di volti bianchi e neri presentavano caratteristiche rispettivamente dell’Africa Subsahariana ed Europee (Blair, Judd, Sadler, e Jenkins, 2002; Maddox e Grey, 2002) e rappresentavano una fascia di età simile a quella dei partecipanti. Erano ritagliati in modo tale che i partecipanti non potessero capire se le teste avevano i capelli, i volti erano digitalmente modificati per adattarsi ai corpi utilizzando Adobe Photoshop Elements 6.0 ed ogni viso era unito ad ogni corpo ottenendo quattro categorie: nero-arrabbiato, nero-felice, bianco-arrabbiato e bianco-felice; ciascuna categoria conteneva otto stimoli per un totale di 32 stimoli emotivi e del linguaggio del corpo.
Ogni prova è iniziata con la presentazione di un punto di fissazione bianco leggermente sopra il centro di uno schermo nero per 1000 ms, seguito da una presentazione per 200 ms di uno stimolo seguito dalla schermata di fissazione. Lo stimolo seguente appariva 1000 ms dopo la risposta.
Ai partecipanti è stato chiesto di indicare su una tastiera, il più rapidamente e accuratamente possibile, se il viso apparteneva ad un uomo di colore o ad un bianco. Ogni stimolo emotivo e del linguaggio del corpo è stato presentato a tutti i partecipanti 4 volte per un totale di 128 presentazioni sperimentali randomizzate per partecipante.
Al secondo esperimento hanno partecipato volontariamente trentacinque studenti universitari bianchi (17 maschi) di età compresa tra 18 e 22 anni, con visione normale, che sono stati reclutati da un gruppo di studenti di psicologia introduttiva e hanno ricevuto un credito formativo.
Gli stimoli legati al linguaggio del corpo sono stati identici a quelli utilizzati nello studio 1 e gli stimoli del viso raffiguravano volti maschili asiatici con espressione neutra. I volti asiatici e bianchi sono stati preparati nello stesso modo dell’Esperimento 1 ottenendo quattro categorie: asiatico-arrabbiato, asiatico-felice, bianco-arrabbiato e bianco-felice; ciascuna categoria conteneva otto stimoli per un totale di 32 stimoli emotivi e del linguaggio del corpo.
Ai partecipanti è stato chiesto di indicare su una tastiera, il più rapidamente e accuratamente possibile, se il viso appartenesse a un uomo bianco o a un uomo asiatico. La procedura sperimentale utilizzata nell’esperimento 2 era identica alla procedura utilizzata per Esperimento 1.
Poiché è stata usata la stessa presentazione breve dello stimolo (200 ms) e lo stesso paradigma implicito per l’integrazione dei volti e del linguaggio del corpo (il compito non richiedeva l’attenzione ai corpi) si può concludere che l’integrazione del linguaggio del corpo e l’etnia dei volti era un processo veloce e automatico (prima via di de Gelder) piuttosto che lenta e deliberata (seconda via de Gelder). I risultati indicano anche che il processo automatico che guida l’integrazione del linguaggio del corpo e l’etnia è una manifestazione di un effetto out-group, (vale a dire una valutazione negativa complessiva di neri e asiatici rispetto ai bianchi tra i partecipanti bianchi).
In conclusione questo studio dimostra che il linguaggio del corpo modula come le persone elaborino i volti di in-group e out-group. Estendendo la ricerca precedente per includere informazioni emotive veicolate attraverso il corpo, e non solo il viso, i risultati si adattano bene con le teorie della comunicazione che considerano il corpo, nel suo complesso, come una forza potente in cui le persone percepiscono automaticamente i segnali sociali, emotivi e cognitivi degli altri.
(Tratto dalla rivista scientifica Journal of Experimental Social Psychology, 2013 by Lindsay Hinzman, Spencer D. Kelly – Colgate University)